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FOGLIO SETTIMANALE 17/11 - 24/11

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XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / B - DOMENICA 17 NOVEMBRE 2024

UN NUOVO CAMMINO DI SALVEZZA

Siamo nel contesto della conclusione dell’anno liturgico e nelle celebrazioni e feste che caratterizzano questo tempo possiamo vedere come l’immagine di un mondo che sta finendo e sul quale il Signore pronuncia il suo giudizio. Il Vangelo descrive tutto questo con il linguaggio popolare di impressionanti fenomeni, cari alla tradizione biblica: «Il sole si oscurerà, le stelle cadranno dal cielo, le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte». Questo può essere visto anche come il momento in cui il Signore traccia alle nostre comunità, per il nuovo anno liturgico che inizieremo, il cammino della salvezza, che le conduce “alla vita eterna”, e il cammino della conversione, che le preserva “dalla vergogna” della condanna (I Lettura). Sarà il tuo cammino e il cammino della tua comunità. Quanto all’affermazione che neppure il Figlio conosce il momento della fine del mondo («Quanto a quel giorno… nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, eccetto il Padre»), essa vuole indicare che lo svelare questa fine non rientra nella missione di Gesù, ma spetta solo al Padre. È lui il Signore del tempo e della storia. Lui solo ne conosce l’inizio e la fine.

Rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio è la risposta di Gesù a una domanda tranello. È chiaro che solo a Dio si deve dare tutta la nostra persona e che, al contempo, va dato il proprio contributo leale alle istituzioni civili. Questo Gesù lo insegnerà con la sua vita e l’obbedienza della Croce, quando i suoi avversari sceglieranno di stare dalla parte del potere umano e non dalla parte di Dio.

Oggi ricorre la Giornata mondiale del Povero.

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La Domenica

FOGLIO SETTIMANALE 10/11 - 17/11

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XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / B - DOMENICA 10 NOVEMBRE 2024

HA DATO PIU' DI TUTTI GLI ALTRI

Due povere vedove sono oggi le protagoniste della liturgia della Parola. La vedova di Sarepta, scegliendo di dare da mangiare al profeta, dimostra una grande fede (I Lettura). Preparando prima la focaccia per l’uomo di Dio e poi per sé stessa e per il figlio, mette Dio al primo posto. La sua fede viene premiata perché «la farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì». La vedova del Vangelo, sebbene doni una somma di denaro molto inferiore a tutti gli altri, non si priva del superfluo ma di tutto quello che ha: confida semplicemente in Dio e attende da lui sostegno e salvezza. La donna è lodata da Gesù perché ella è certa che il vero tesoro, che tarma e ruggine non consumano (Mt 6,19), è la relazione con il Signore che si può realizzare solo facendo le sue stesse scelte di autodonazione. La nostra donazione è gradita al Signore se siamo disposti a “lasciare” qualcosa di importante, a rinunciare e a offrire la nostra rinuncia a Dio come ha fatto lui. Modello sublime di donazione è, infatti, il Signore Gesù che ha offerto sé stesso, immolandosi per noi quale vero agnello pasquale (II Lettura).

Rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio è la risposta di Gesù a una domanda tranello. È chiaro che solo a Dio si deve dare tutta la nostra persona e che, al contempo, va dato il proprio contributo leale alle istituzioni civili. Questo Gesù lo insegnerà con la sua vita e l’obbedienza della Croce, quando i suoi avversari sceglieranno di stare dalla parte del potere umano e non dalla parte di Dio. 

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FOGLIO SETTIMANALE 03/11 - 10/11

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XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / B - DOMENICA 3 NOVEMBRE 2024

LE NOVITA' DELL'AMORE CRISTIANO

In risposta a uno scriba, uomo di cultura, che domandava quale fosse l’essenza della religione, Gesù suggerisce che è l’amore, verso Dio e verso il prossimo, la radice verso cui far convergere ogni esperienza religiosa e di vita. Solo l’amore può dare pienezza all’esistenza umana e guidare ogni gesto. Nelle parole di Gesù, tuttavia, ci sono importanti novità. I due precetti dell’amore nella legge antica non erano enunciati uno accanto all’altro ma figuravano in due libri diversi, il Deuteronomio e il Levitico. Gesù li unisce come se ne costituissero uno solo. Quasi due facce della stessa medaglia. Se può essere facile amare Dio che è invisibile, è l’amore impegnato a costruire fraternità, che è la verifica di questo amore. Una seconda novità riguarda la parola “prossimo” che per Gesù non è solo il nostro familiare, l’amico o uno del nostro gruppo, ma tutti, perfino chi ci è ostile. All’amore verso Dio e verso il prossimo è necessario aggiungere anche quello verso noi stessi. Amiamo noi stessi quando ci poniamo nella verità, quando riconosciamo i talenti che abbiamo ricevuto e li facciamo fruttificare, quando confessiamo le nostre debolezze, quando comprendiamo che la vita ha senso se la doniamo agli altri.

Rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio è la risposta di Gesù a una domanda tranello. È chiaro che solo a Dio si deve dare tutta la nostra persona e che, al contempo, va dato il proprio contributo leale alle istituzioni civili. Questo Gesù lo insegnerà con la sua vita e l’obbedienza della Croce, quando i suoi avversari sceglieranno di stare dalla parte del potere umano e non dalla parte di Dio. 

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FOGLIO SETTIMANALE 27/10 - 03/11

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XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / B - DOMENICA 27 OTTOBRE 2024

IL CORAGGIO DI GRIDARE LA VITA

Dopo la distruzione di Gerusalemme (587 a.C.), durante l’esilio, il profeta Geremia intonava le prime note di una melodia colma di speranza, invitando il “resto d’Israele” (il cieco, lo zoppo…) a cantare sin da allora la gioia della salvezza promessa dal Signore (I Lettura). C’è ancora chi, nel buio, sa “gridare” la propria speranza? Quante grida restano sepolte sotto la coltre del dolore! O quante altre si disperdono in suoni afoni di sterili lamentele! Ma il grido di quest’uomo cieco, di nome Bartimeo, infrange la barriera del suono con una limpidezza interiore disarmante (Vangelo). Bartimeo introduce la strategia più geniale che la sua creatività gli lascia intuire: lui grida, non ha altro. Non grida qualcosa, ma grida a Qualcuno. Questo grido ha la fede di chi, nel dolore, rimane tenacemente a contatto col proprio desiderio di vita e lo riversa in una relazione: il suo grido di fede è la “preghiera del cuore” che si lancia nel cuore di Gesù. Come “sacerdote compassionevole” (II Lettura) Gesù se ne fa carico, al punto da portarlo al Padre, con la voce della sua stessa umanità, sull’altare della croce. Oggi è qui, in questa Eucaristia, per portargli anche il nostro.

Rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio è la risposta di Gesù a una domanda tranello. È chiaro che solo a Dio si deve dare tutta la nostra persona e che, al contempo, va dato il proprio contributo leale alle istituzioni civili. Questo Gesù lo insegnerà con la sua vita e l’obbedienza della Croce, quando i suoi avversari sceglieranno di stare dalla parte del potere umano e non dalla parte di Dio. 

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