In missione con Nicola: destinazione Egitto!
- Scritto da Jessica Soardo
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Quando si parte per un viaggio missionario in valigia si mettono molte domande. A vent’anni ne hai la testa piena. E per me partire in Egitto è stata una bella occasione per mettermi alla prova e donare il mio tempo ai ragazzi, ma soprattutto per cercare risposte alle domande sul mondo. Scorrere post e video sui social porta a voler vivere il sogno di qualcun altro, offusca opinioni e scelte, e io sentivo dentro di me che desideravo conoscere, vedere con i miei occhi realtà lontane.
Un altro motivo che mi ha proiettato nel viaggio è stato il gruppo che, per metà, già conoscevo e che è si è rivelato fondamentale per la buona riuscita della missione.
Sono partito con delle aspettative, anche inconsapevolmente, ma non riuscivo a immaginare la realtà che avrei vissuto per un mese. Credevo che le piramidi mi avrebbero lasciato a bocca aperta, ed è stato cosi. Ma a lasciarmi un segno non sono state le grandiosità dell’antico Egitto, quanto più la quotidianità del vortice caotico di stimoli visivi e olfattivi nei quartieri popolari, tanto che i miei occhi non sapevano dove appoggiarsi. Dentro quella giungla di traffico, persone e colori ci si perdeva e a distanza di ormai due mesi non mi rendo ancora conto di tutto quello che ho osservato. Pensavo avrei scattato un sacco di fotografie, studiato accuratamente le scene, la verità è che di fronte a quella molteplicità di stimoli ero paralizzato.
È stata per me la prima occasione di insegnamento in una scuola. Non avevo alcuna pretesa, anzi, ancor prima dell’inizio del primo giorno di scuola mi sentivo sovrastato dalla responsabilità nei confronti dei ragazzi che sarebbero stati i miei allievi. Più volte ci è stata ricordata l’importanza del corso intensivo di italiano: entrare alla scuola "Don Bosco" è un’opportunità preziosissima per molti ragazzi e molte famiglie egiziane.
Un respiro profondo… e poi il suono della campanella.
Entro in classe e mi accorgo subito che tutti quegli occhi scuri fissavano proprio i miei occhi azzurri, lì di fronte alla lavagna. Poi tutto è venuto da sé. Tenevo la lezione in italiano e a tradurre per me era un ragazzo egiziano del quarto anno; credo però che a volte capissero meglio me attraverso gesti ed espressività, scavalcando differenze culturali e di lingua, perché in fondo la lingua dei sogni e dei desideri era la stessa.
La stessa è stata la sensazione di sicurezza e di accoglienza che respiravo ogni volta che, venendo dai quartieri, varcavamo la soglia della casa salesiana, quasi fosse quella di Pavia di Udine.
Il condividere l’esperienza di insegnamento con il gruppo formato, due miei compaesani e altre tre ragazze del Triveneto, è stato fondamentale per superare le difficoltà e i dubbi. Ci siamo sostenuti a vicenda nella fatica e abbiamo saputo cogliere momenti di gioia assieme.
Ad esperienza conclusa posso dire di aver messo me stesso in classe, tutto quello che mi appassiona e quello che conoscevo l’ho condiviso con i ragazzi che erano super incuriositi, quasi a desiderare la vita occidentale, così lontana. La realtà ha abbattuto il muro delle mie aspettative e dei miei preconcetti, lasciando spazio allo stupore e alla soddisfazione per aver ricevuto forse più che dato qualcosa al Cairo.
Nicola Grion